Feder Cammini
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Il progetto di turismo slow mostra che il Sulcis non ha solo industrie morenti, ma anche opportunità di sviluppo sostenibile


Ieri, era il sentiero dei minatori sardi per andare al lavoro. Oggi, è un itinerario storico, naturalistico e culturale percorso da pellegrini di tutto il mondo. È il Cammino Minerario di Santa Barbara, un anello di 500 chilometri in 30 tappe che attraversa la natura incontaminata e i siti minerari dismessi del Sulcis Iglesiente Guspinese. Ispirato ai valori del turismo lento e della sostenibilità ambientale, il Cammino è un piccolo spiraglio nel buio della crisi delle industrie pesanti del Sulcis. 

«È un progetto che dà valore aggiunto al territorio, soprattutto qui nel Sulcis, dove ormai il tessuto industriale sta andando allo sfascio» afferma Mauro Olianas, ex impiegato amministrativo della Fondazione Cammino Minerario di Santa Barbara (FCMSB), l’ente che cura il cammino. «Non è la panacea a tutta la situazione di crisi, però ha un potenziale economico e sociale molto forte», aggiunge. 

Finora, i fondi europei di coesione hanno giocato un ruolo modesto nello sviluppo del Cammino, che si finanzia soprattutto grazie alla Regione Sardegna. Nello specifico, hanno permesso a Mauro e altre persone in disoccupazione di lavorare per la Fondazione, ma solo per qualche anno. Adesso, grazie al Just Transition Fund, le cose potrebbero cambiare. 

Una riconversione riuscita 

La Fondazione Cammino Minerario di S. Barbara è nata a fine 2016 grazie alla partecipazione congiunta dell’associazione locale Pozzo Sella, di 20 comuni del Sulcis e delle Diocesi di Iglesias e di Ales Terralba. «Il merito del nostro compianto presidente Giampiero Pinna è di essere riuscito a connettere tutte queste persone in questo grande progetto, che di fatto non ha nessun colore politico, ma funziona sul territorio» racconta l’ingegner Luca Zambianchi, responsabile tecnico della FCMSB.  

Il Cammino è un incrocio unico di scogliere, montagne e vecchi borghi minerari nascosti tra i boschi. Fa parte dell’area del Parco Geomineario, Storico e Ambientale della Sardegna, anch’esso una creatura di Giampiero Pinna. Geologo di Carbonia, mancato nell’ottobre 2022, Pinna intuì con altri studiosi locali negli anni ‘90 il potenziale di riconversione delle vecchie miniere in declino: una seconda vita come siti di un parco per la tutela e la valorizzazione del patrimonio tecnico-scientifico, storico culturale ed ambientale della Sardegna. 

A questo scopo, nel 1998 fu sottoscritta la Carta di Cagliari, con le firme di governo, Regione Sardegna, Unesco, università di Cagliari e di Sassari e dello stesso Pinna, in qualità di presidente dell’Ente Minerario (l’ente regionale, oggi sciolto, che coordinava le attività minerarie). Gli impegni della Carta, però, tardavano a concretizzarsi. Così, il 5 novembre 2000, durante la visita di una commissione Unesco presso la galleria Pozzo Sella, Pinna fece un annuncio: non avrebbe lasciato la galleria fino all’istituzione del parco geominerario.  

Presto, la protesta di Pinna guadagnò sostenitori. Da alcuni anni, degli ex lavoratori del polo di Portovesme e iscritti alle liste di collocamento venivano impiegati part-time nei siti del parco (di proprietà di Igea) come lavoratori socialmente utili. Queste persone, capendo di essere parte in causa della protesta, decisero di unirsi all’occupazione. Tra di loro, anche Mauro Olianas. «Siamo andati subito in questa galleria a trovare Giampiero e da lì non ce ne siamo andati più manco noi» racconta Olianas. «Un anno dopo, il ministro dell’Ambiente Matteoli ci ha portato il decreto istitutivo del Parco Geominerario e contemporaneamente l’assunzione di tutti i lavoratori a tempo indeterminato», ricorda. 

Olianas e altre centinaia di lavoratori socialmente utili vennero assunti all’Ati Ifras, l’associazione temporanea di impresa incaricata dalla Regione di svolgere la manutenzione del parco. La cosa andò avanti per 15 anni finché, il 31 dicembre 2016, il contratto di appalto di Ati Ifras non fu più rinnovato. Da un report dell’Assessore regionale al Lavoro, erano infatti emerse una serie di irregolarità della gestione Ati Ifras, che portarono a un processo per malversazione e truffa ai danni della Regione, tutt’ora in corso, e al sequestro preventivo di beni per oltre 5 milioni e mezzo di euro nel 2020. 

Il risultato della chiusura del contratto con Ati Ifras fu il licenziamento in tronco dei 525 dipendenti.   

Da allora, i cosiddetti “lavoratori ex Ati Ifras” sono un bacino di centinaia di precari che rappresenta ancora oggi un nodo irrisolto per la Regione Sardegna. I tentativi di rendere la loro situazione contrattuale stabile sono finora falliti, anche se i fondi di coesione hanno dato un sollievo temporaneo. 

Che ruolo ha avuto la politica di coesione? 

Dal 2017 ad oggi, la FCMSB ha ricevuto dalla Regione Sardegna risorse pubbliche per oltre 11 milioni di euro (ne abbiamo calcolati 10,2 dal bilancio 2022, l’ultimo disponibile, ma la Fondazione ci ha fornito dati più recenti).  

Di questi, 4,9 milioni di euro provengono dalla politica di coesione europea (nello specifico, dal Programma Operativo Regionale per il Fondo Sociale Europeo del ciclo di programmazione 2014-2020) e sono stati spesi tra il 2017 e il 2021 per ricollocare una sessantina di lavoratori ex Ati Ifras in disoccupazione: operai, ingegneri, educatori ambientali e anche impiegati amministrativi, tra cui Olianas. In totale, per il reinserimento sono stati spesi 7 milioni e mezzo di euro, specifica la FCMSB. «Con queste persone siamo riusciti a fare molti lavori per riqualificare i sentieri. Soprattutto avevamo in carico da parte dei comuni la manutenzione e la sistemazione dei principali siti archeologici della zona» racconta il responsabile tecnico della FCMSB Luca Zambianchi. 

Mauro Olianas ha un bel ricordo di quel periodo, in cui ha lavorato nell’ufficio acquisti, occupandosi di logistica e gare d’appalto. Come lui, la collega ed ex Ati Ifras Francesca Arca: reinserita come segretaria e interprete, ha contributo con le sue competenze linguistiche a stringere rapporti tra la Fondazione e gli altri sentieri d’Europa. Questo, fino alla scadenza del contratto nell’aprile 2021. «È stato un peccato andare via perché era ed è un bellissimo progetto» racconta Arca. «Insieme a Pinna, avevamo anche preparato una lettera alla Regione, chiedendo a nome di tutti noi lavoratori di poter proseguire con la Fondazione». Non servì. 

Da allora, cos’è successo agli ex Ati Ifras? Una stagione di contratti precari, tutt’ora in corso. 

La Regione aveva infatti stabilito di distribuire gli ex Ati Ifras in diversi enti, tra cui la FCMSB, solo temporaneamente, nell’attesa di individuare un nuovo gestore privato del parco. I fondi di coesione hanno quindi fatto da soluzione tampone fino al reinserimento dei lavoratori presso i privati che, di volta in volta, hanno vinto la gara d’appalto per la manutenzione del parco: prima Coop Service, per circa due anni, incluso uno di formazione di dubbia utilità; poi Formula Ambiente, per pochi mesi tra fine 2023 e inizio 2024; nel mezzo, un altro breve periodo di disoccupazione. 

«Sembrava più una cosa della Regione per parcheggiarci» racconta Francesca Arca in riferimento al periodo di formazione con Coop Service. «L’unico vero lavoro che abbiamo fatto in tutti questi anni da quando abbiamo lasciato l’Ati Ifras è stato con la Fondazione, perché lì c’era un vero progetto», prosegue. 

Mentre scriviamo è il 21 febbraio: gli ex Ati Ifras, tra cui Olianas e Arca, secondo la CGIL Filcams sono 249 e stanno per iniziare un nuovo contratto di 4 mesi presso la IT Servizi srl. Dopo, potrebbero seguire altri 4 mesi di proroga, forse. Dopo ancora, non si sa.  

Se da un lato, la Regione ha sempre garantito a questi lavoratori un minimo di copertura, alternando contratti brevi e periodi di naspi, dall’altro non ha mantenuto l’impegno di stabilizzarli preso 8 anni fa. «Sono sempre con questa spada di Damocle in testa: ogni volta che si avvicina il termine del contratto, rischiano al posto di lavoro», spiega Nella Milazzo di CGIL Filcams. Con tutte le conseguenze concrete che la precarietà comporta. «Ho un figlio che studia, non posso permettermi di rimanere disoccupazione di nuovo», racconta Olianas.  

In tutto questo, secondo Zambianchi della FCSMB, la Fondazione si trova a corto di personale (oggi ha 12 dipendenti) e vorrebbe poter assumere anziché rivolgersi a ditte esterne. Il Just Transition Fund darà una mano? 

Se il Just Transition Fund incrocia il Cammino 

Come visto, i fondi di coesione hanno avuto un ruolo limitato nello sviluppo del Cammino Minerario di S. Barbara. Ma ora che il Sulcis è oggetto dei 367 milioni di euro del Just Transition Fund, le cose potrebbero cambiare. 

Non a caso, il «turismo slow» e la «valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale e mineraria» sono indicati nel piano territoriale JTF come opportunità di diversificazione economica nel Sulcis. La principale occasione è attrarre turisti-pellegrini per tutto l’anno, e non solo i balneanti dei mesi estivi. Nel 2023, la Fondazione ha contato 1.200 pellegrini del Cammino, in crescita rispetto ai 780 dell’anno precedente. 

La FCMSB ha già pronte delle idee per il fondo. «Abbiamo realizzato proposte per 28,5 milioni di euro per allestire nuove posadas (gli alloggi per pellegrini gestiti dalla Fondazione, ndr) e per migliorare la percorrenza e la sicurezza del Cammino» spiega Luca Zambianchi. Le possibilità sono tante: tra le varie, la riqualificazione dell’ex ferrovia da Gonnesa ad Iglesias in un percorso ciclo pedonale; l’installazione di una rete Wi-fi lungo l’intero cammino; il recupero e l’adeguamento della ciclovia e dell’ippovia; il restauro di chiese e la rigenerazione e l’efficientamento energetico di immobili abbondonati per farne alloggi, come la posada del comune di Musei. 

Tutti questi progetti sono stati presentati insieme ai comuni locali nella primavera 2021, durante la prima consultazione per il programma JTF Sulcis. Tre anni dopo, sono ancora nel cassetto della Regione Sardegna: sta oggi alla neoeletta giunta regionale di Alessandra Todde tirarli fuori e aprire i bandi per realizzarli, recuperando sui ritardi accumulati

I progetti non mancano, i fondi neanche, ma il tempo per spenderli è sempre meno, e non c’è più Pinna a fare occupazioni per svegliare le istituzioni: la Fondazione Cammino deve continuare a camminare senza il fondatore. Per ora i presupposti ci sono, perché la FCMSB è riuscita a vincere anche due bandi ministeriali. Ma, per andare avanti, è essenziale che la Regione faccia la sua parte. 

«Qualora tale processo venisse adeguatamente sostenuto e promosso dalla Fondazione CMSB, si stima di creare un’occupazione indotta compresa tra i 500 e i 1000 addetti» dichiara il sindaco di Iglesias e presidente della FCSMB Mauro Usai in merito alle proposte realizzate coi comuni per il JTF. 

Sono numeri importanti che, se mai si dovessero concretizzare, potrebbero essere un vero aiuto per il Sulcis, dove anche le ultime fonti di occupazione rimaste sono in declino: la Portovesme srl, con i suoi 1.200 lavoratori in cassa integrazione a rotazione, e la Centrale Enel Grazia Deledda, la cui chiusura prevista per fine 2025 farà perdere tra i 400 e i 1.200 posti di lavoro. 

«Secondo me, Pinna ha tirato su un gioiello, ancora non so se la Regione si è resa conto di cosa ha in mano» conclude Francesca Arca. «Speriamo che continui ad aiutare questa Fondazione perché è veramente un bellissimo cammino». 

di Matteo Scannavini – Slow News

Nella foto di copertina il complesso minerario di Monteponi, Iglesias: un dettaglio della segnalatica del Cammino. Foto di Matteo Scannavini.

Contenuto rilasciato sotto Creative Commons BY-SA 4.0

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